Linea 40 Express. Credo sia indiano. Uno di quelli dalla carnagione nerissima, così nera che potrebbe pure essere africano. Ma ha i capelli fini e pettinati, da indiano, appunto.
E’ alto un metro e mezzo, non di più. E’ il prete più basso che abbia mai visto in vita mia.
L’autobus si ferma al semaforo in Largo Argentina. Seguo con gli occhi il pretino (sembra finto, davvero) che scende e mi fermo sui “cocci de Roma antica”. Un isolotto storico che sprofonda nel cemento metropolitano. Lì era il centro del mondo, penso. C’hanno ammazzato Cesare. E’ crollata una dittatura. Ora è dominio dei gatti e cimitero di Peroni asciutte, e dove s’era accasciato il corpo dell’uomo più potente del mondo ora frigge puzzo di ammoniaca. Dove Brutofiliimii ha accoltellato il padre, ci si lecca il culo con savoir faire felino.
L’autobus è pieno, ma non si assiste al solito balletto calpesta piedi delle ore di punta. Le ascelle sono fuori tiro e ognuno pensa ai fatti suoi.
I fatti miei
Non lontano dalla banda di gatti, un uomo di circa 60 anni, vestito di stracci e una lunga barba incrostata di smog, appoggia un gigantesco sacco blu contro la ringhiera. Si china a terra e con le mani comincia a pulire il marciapiede. Prende in mano un pezzetto di legno e ce lo scaglia contro, furioso. Lì ci abita, dannazione!
Un anziano osserva la scena dal finestrino dell’autobus, appollaiato sul bastone da passeggio. Seduta davanti a lui c’è la moglie. E’ affascinata dalla sacca blu del barbone.
– Vedi, poverino. Lì dentro c’ha tutta la casa.
L’anziano spalanca gli occhi e si rivolge alla moglie
– Dovemo ricordacce de paga’ l’Imu!
Ognuno pensa alla propria casa come gli pare.
L’autobus riparte e in pochi minuti affronta via Nazionale. I due coniugi non parlano più, si godono la strada con la fronte appiccicata al vetro.
Le sirene della Polizia calamitano l’attenzione di tutti. Una lunga fila di autoblu sfreccia nella direzione opposta alla nostra. Sbircio alla meglio e intravedo una nutrita delegazione diplomatica, probabilmente un ambasciatore africano.
Dietro di me, e solo ora me ne accorgo, ci saranno una quindicina di africani. Non hanno il minimo interesse per la delegazione appena passata. Continuano a parlare degli affari loro. Distinguo le parole Casalbruciato e Centocelle, e capisco che si stanno raccontando le rispettive case metropolitane.
Ed essendo io un tipo di natura nostalgica, non posso fare a meno di pensare a Trieste, ai gatti e all’ammoniaca.
Skaiosgaio
Scritto ascoltando “The sun and the Rainfall” dei Depeche Mode