La sottile linea bianca

Tram 14 (Roma)

Non saprei dire se assomiglia più a Hodor di Game of Thrones o a un babà. Cammina avanti e indietro per il tram mezzo vuoto, gonfio e pesante come un gommone alla deriva, masticando tra sé un’impepata di frasi marinate di accento campano. Avrà 45 anni anni e ne dimostra 10 di più, capelli sporchi e brizzolati che sembrano un nido abbandonato sopra a un viso triangolare unto come un arancino. Si lamenta che a Roma ognuno si fa i fatti suoi e che nessuno chiacchiera. E, mentre lo dice, pianta i suoi occhietti furbi su me e Yaz, che è al mio fianco ed è un’eccezionale calamita di matti e spostati.

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Hodor. Categoria matti e spostati

Siamo in trappola. Annuiamo e guardiamo fuori dal finestrino sporco. Cosa ci sia da vedere sulla Togliatti, poi, non si sa. Di giorno, intendo.

Hodor si lascia precipitare sulla sedia con un tonfo da gavettone. Ci racconta che viene da Battipaglia, che erano anni che non veniva a Roma, e che è andato al Quarticciolo. Tipica meta di turisti, il Quarticciolo.

– Cercavo Manolo.

Manolo è un suo amico di vecchia data. Non si vedono da dieci anni, e per qualche motivo Hodor ha deciso di tornare a Roma e andarlo a trovare. Non ha un recapito telefonico e nemmeno la via. Alla vecchia, si è avventurato tra panni stesi e anziane dimenticate su sedie di vimini chiedendo di Manolo. Manolo del Quarticciolo. E, incredibile a dirsi, non l’ha trovato.

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Un esemplare di “Manolo”

– Avevo un regalo per lui – ci dice ghignando. E così rimane, con un sorrisetto idiota dipinto sul viso, in attesa di una nostra domanda tipo: “davvero? Che regalo?”.

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La zizzona di Battipaglia, ovvero il “regalo” secondo Yaz

Ma la domanda noi non gliela facciamo, e lui è costretto a fare tutto da solo. Si guarda intorno: oltre a noi, ci sono un egiziano e una cinese attaccata a un cellulare rosa. Hodor mi studia qualche secondo, mi sorride e si conforta: la faccia da “guardia” non la tengo.

– Lo prendo per un complimento – gli faccio. E quello, con la nonchalance di un fumatore, estrae dal taschino un sacchettino di cocaina.

Yaz deglutisce una risata. Hodor, che ormai si sente in famiglia, mi avvicina il sacchetto al naso, gongolante come un bimbo

– Sient’ quant’è bona!

Gli dico che sì, non c’è dubbio, si vede. E lui capisce al volo che non ho grande fiuto per queste cose. E così estrae due palline che inizia a sbriciolare. Peccato che lui sia stabile come un dente da latte, e finisce per imbiancarsi giacca e sedile. Cambia posto e prepara due strisce piccole e parallele sul retro del suo cellulare. È un binario innevato, incredibilmente a tema per il posto in cui ci troviamo. Appoggia il cellulare sul sedile ed entra l’autista.

Hodor si irrigidisce. Ruota gli occhi come un alunno che vuole evitare lo sguardo dell’insegnante. Ma, ehi! questa è Roma, bellezza! E l’autista, infatti, manco se ne accorge. O finge. Fatto sta che si siede al posto di guida e il tram inizia a muoversi, traballando gelatinoso verso via Prenestina.

Per Hodor è sempre più difficile. Si inginocchia davanti al sedile, un qualcosa di arrotolato tra le dita. Si inforca gli occhiali da sole, si guarda intorno e inala entrambe le strisce. Poi si tira su, e scoppia di salute. Ricorda Maradona in certe interviste.

– Che poi non fa molto bene alla salute – ci dice in confidenza – e io ho il diabete. Ma mi sono informato e non ci sono controindicazioni.

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“Prendo tanta medicina così posso mangiare tutta la totta che vojo!”

Tronfio della sua smagliante condizione clinica, si rabbuia presto. Ha visto qualcosa in fondo al tram. Si siede vicino a noi e, con le labbra tremanti, ci confida che quell’egiziano, sì quello, ha ripreso tutto con il telefonino. E una volante dei Carabinieri ha già messo la freccia per bloccare il tram e fare irruzione per arrestarlo!

Ma la volante gira per i fatti suoi, non gliene sbatte niente.

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Appuntato, funziona la freccia?

– Ora sì, ora no, ora sì, ora no…

Hodor allora si tranquillizza e divora una boccata d’ossigeno. Forse, proprio come quando finiva di lavorare, anni fa.

Lavorava come buttafuori in una discoteca.

– Ci credi se ti dico che solo una volta, una, non è scoppiata una rissa? E che mi hanno minacciato con coltelli e pistole?

Ora sono 9 anni che non è più in servizio, e io mi domando come sia possibile che una personcina così a modo…

– Io vendevo…questa cosa qui…- esordisce. E un giorno lo beccano. Ma a beccarlo non è un poliziotto qualunque. È Tobia, suo amico d’infanzia. Che, da buon amico, non lo arresta, ma lo fa licenziare e lo riempie di mazzate.

– Sono stato fortunato, però – ci bisbiglia.

Tocca scendere. Lo salutiamo e lui ci informa che se ne va a Saxa Rubra, ora.

Ha degli amici lì, sostiene.

 

Skaiosgaio

Scritto ascoltando “Ima neka tajna veza” dei Bijelo Dugme

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